Da buddha a buddha

Qual è la differenza tra il vuoto presente nel bambino prima che si formi l'ego e l'innocenza risvegliata di un buddha?
C'è una somiglianza e c'è una differenza. Essenzialmente il bambino è un buddha, ma la sua buddhità e la sua innocenza sono naturali, non sono state “conseguite”. La sua innocenza è una specie di ignoranza, non è una realizzazione. La sua innocenza è inconsapevole; il bambino non ne ha coscienza, non ci pensa, non ne ha preso nota; esiste, ma la dimenticherà e la perderà, è inevitabile. Deve perderla. Ogni bambino deve attraversare ogni genere di corruzione e di impurità: il mondo. L'innocenza del bambino è l'innocenza di Adamo prima che fosse espulso dal giardino dell'Eden, prima che assaggiasse il frutto della conoscenza, prima che diventasse consapevole.
È qualcosa di tipo animale. Guarda negli occhi di un animale qualsiasi - una mucca, un cane - c'è purezza, la stessa purezza presente negli occhi di un buddha, ma con una differenza. E la differenza è immensa: il buddha ha fatto ritorno a casa, l'animale non ha ancora lasciato la casa. Il bambino è ancora nel giardino dell'Eden, è ancora in paradiso. Deve lasciarlo, perché per guadagnarselo, deve perderlo. Il buddha ha fatto ritorno a casa... ha percorso l'intero cerchio. È andato via, si è perso, ha smarrito la strada, è entrato nelle profondità delle tenebre e del male, dell'infelicità e dell'inferno. Quelle esperienze fanno parte della maturazione e della crescita spirituale. Senza, non potresti tornare a casa, rimarresti senza spina dorsale. Senza, la tua innocenza sarebbe assai fragile, non potrebbe ergersi contro i venti, non potrebbe far fronte alle tempeste. Sarebbe molto debole, non sopravviverebbe. Deve attraversare il fuoco della vita, il fuoco dei mille e uno errori commessi, delle mille e una cadute, dopo le quali ti sei rimesso in piedi ogni volta. Tutte quelle esperienze, pian piano, ti portano a maturazione, ti rendono maturo, ti fanno crescere interiormente.
L'innocenza di un buddha è l'innocenza di una persona matura, maturata.
L'infanzia è la natura inconscia, la buddhità è la natura cosciente. L'infanzia è una circonferenza senza nessuna idea del centro. Il buddha è anch'egli una circonferenza, ma radicata nel centro, centrata. L'infanzia è l'anonimato inconscio, la buddhità è l'anonimato cosciente. Entrambe sono senza nome, senza forma. Ma il bambino non ha ancora conosciuto la forma e le sue miserie. Il bambino è come colui che non è mai stato in prigione, quindi non sa cosa sia la libertà. 

 Osho

Lasciare andare ciò che il cuore pensa (dal Lieh-Tzu)

Ti dirò quel che ho imparato dal mio maestro.
  Dopo tre anni che servivo il maestro e avevo fatto amicizia con quell’uomo, col cuore non osavo pensare all’affermazione e alla negazione, con la bocca non osavo parlare del vantaggio e dello svantaggio: solo allora ottenni il primo sguardo dal maestro.
  Dopo cinque anni col cuore pensavo di nuovo all’affermazione e alla negazione, con la bocca parlavo di nuovo del vantaggio e dello svantaggio: per la prima volta il maestro distese il suo volto e mi sorrise. 
  Dopo sette anni seguivo tutto ciò che il mio cuore pensava senza affermazione e negazione, seguivo tutto ciò di cui la mia bocca parlava senza vantaggio e svantaggio: per la prima volta il maestro mi fece sedere su una stuoia accanto a sé. 
  Dopo nove anni lasciai andare ciò che il cuore pensava e la bocca diceva, senza sapere se l’affermazione e la negazione, il vantaggio e lo svantaggio, fossero miei o altrui, senza sapere che il maestro era il mio insegnante e che quell’uomo era il mio amico: ero al di là dell’interiore e dell’esteriore. 
  Dopo, tutto mi fu eguale: l’occhio come l’orecchio, l’orecchio come il naso, il naso come la bocca. Il mio cuore si condensò e la mia forma si dissolse, le mie ossa e la mia carne si strussero, non ebbi più la sensazione di ciò a cui la mia forma s’appoggiava e che il mio piede calcava, a seconda dei venti andai ad oriente e ad occidente come una foglia d’albero o una pula secca. 
  Alla fine non sapevo se era il vento che montava me o se ero io che montavo il vento.